La casa: un valore, non un problema

Un altro tema scivoloso è quello della casa. Il diritto all’abitazione è garantito solo per due minoranze: chi non ha niente o quasi e chi è benestante. In mezzo c’è quello che una volta veniva definito ceto medio che oggi non costituisce più il segmento prevalente di una domanda solvibile per un’offerta di abitazioni che si è in parte, e in modo abbastanza surreale, volatilizzata. Dico surreale perché gli immobili vuoti sono moltissimi sia in percentuale, sia in valore assoluto. Agli immobili non utilizzati si aggiungono quelli utilizzati per affitti a studenti e per affitti brevi. L’Università – nonostante la meritoria azione dell’Opera universitaria per garantire un diritto allo studio che comprende necessariamente anche la residenza – rimane un fattore che, nel gioco delle convenienze, crea una forte tensione sul mercato delle locazioni. Anche il successo di Trento come destinazione turistica, con una significativa domanda di pernottamenti per periodi brevissimi, ha messo, per così dire, in fuorigioco la domanda di locazioni a lungo termine, spostando troppo in alto l’asticella. Nei decenni scorsi il prezzo pagato per una emergente tensione abitativa è stato soprattutto quello della suburbanizzazione (che ora ci viene restituito in termini di pendolarismo) e della periferizzazione (che ha creato zone nelle quali si concentrano redditi scarsi e disagio sociale). Credo che la risposta debba puntare non solo su una riqualificazione e sull’ampliamento del patrimonio pubblico per alloggi popolari, che forse ha finito per creare “professionisti” dell’appartamento ITEA, ma su percorsi di responsabilizzazione che consentano di accedere a locazioni a canoni commisurati alle effettive disponibilità di spesa più ancora che all’acquisto, che costituisce ancora e sempre un investimento, ma non necessariamente risponde, nel ciclo di vita delle famiglie, a esigenze permanenti. Senza dimenticare il rilancio e il sostegno delle cooperative edilizie. È del tutto evidente che queste dinamiche non possano fare a meno di una forte regia pubblica, sia per garantire i proprietari, sia per agevolare il pagamento dei canoni, sia per lavorare (come, diciamolo, non si è mai fatto) sulla leva tributaria. A questo riguardo, credo che il Comune dovrebbe, se del caso stimolando adattamenti normativi provinciali (da noi c’è l’IMIS, non l’IMU), deliberare una imposizione fiscale molto impegnativa per chi possiede molti immobili. Un’indagine IRVAPP/FBK condotta ormai una decina di anni fa evidenziava che il 10% dei proprietari possedeva almeno 6 immobili: il primo è sacro, come la mamma; il secondo è per il figlio che forse si sposa; il terzo è a disposizione: perché non si sa mai. Ma dal quarto in poi? Qualche ragionamento è il caso di farlo: pensare non costa niente, non pensare molto di più.