Inizio aprile 2025. La prima pagina online di un importante quotidiano nazionale apre con tre notizie: l’uccisione di una ragazza da parte di un ragazzo a Messina; l’omicidio di un’altra ragazza da parte del suo ex fidanzato a Roma; l’arresto di una baby gang che commetteva furti e rapine nella metropolitana di Milano. L’edizione in edicola dello stesso quotidiano approfondisce e rilancia in cronaca: il titolo è “La violenza in aumento tra i giovani. Raddoppiato l’uso delle armi”. Citando come fonte un poderoso rapporto di ricerca sulla cosiddetta Generazione Z, cioè su ragazze e ragazzi fra i 15 e i 19 anni, realizzato dall’Istituto di fisiologia clinica del CNR, “Navigare il Futuro: dipendenze, comportamenti e stili di vita tra gli studenti italiani (…)”, vengono forniti dati ai quali, a prima vista, sembra impossibile credere: nel 2018, l’1,4% dei giovani nella fascia di età considerata aveva usato un’arma, di solito coltelli, per ottenere qualcosa; la tendenza è cresciuta fino al 3,4% del 2024: i maschi concorrono per il 4,6%, le femmine per il 2%. Inoltre, il dato nazionale registra che il 40,6% (che corrisponde più o meno a 1 milione di adolescenti) ha partecipato a zuffe o risse; la nostra regione concorre per il 38,1% e non si discosta particolarmente dal dato medio nazionale, come non se ne discosta quello delle altre regioni, con le sole eccezioni della Valle d’Aosta, dove scende al 30,3%, e della Puglia, dove sale al 49,8%. Il denominatore comune di queste notizie di cronaca e di queste evidenze consiste in una crescente tendenza all’uso della violenza – e non solo violenza fisica – come mezzo per ottenere ciò che si desidera. Ma non si tratta solo di questo, perché la violenza è esercitata anche contro sé stessi, in forme e con intensità differenti. È celebre un motto, attribuito a un re di Francia (che, se non lo ha detto, lo ha pensato): “Lo Stato sono io”. Oggi esprime il pensiero di capitalisti e di personalità politiche che controllano i destini del mondo e credono di essere al di sopra della Legge. Noi, che crediamo alla sovranità delle regole e crediamo perciò che vadano rispettate, siamo convinti che certi comportamenti non possano essere derubricati in semplici bravate. Ma dobbiamo dire forte e chiaro che non è lo strumento penale quello che ci permetterà di venire a capo di una combinazione esplosiva di disagio emotivo, assenza di modelli di riferimento, caduta di valori, indifferenza: in una parola, di giovani vite “rottamate”, qualche volta dopo averne cancellate altre. Per questo crediamo che vada sancito un patto forte fra istituzioni, associazioni, terzo settore, imprese in ambito culturale, sociale, scolastico, sanitario, sportivo, lavorativo. Non possiamo limitarci a dare atto che queste criticità fanno notizia: per una società che si consideri civile, devono fare problema ed essere oggetto di una progettualità esigente.